Che innesto per la Lazio #basketincarrozzina: ecco il capitan Pellegrini “centro”, classe 1970, Andrea, emblema dello sport paralimpico per un mucchio di medaglie vinte anche nella scherma (fu oro alle Paralimpiadi di Atene nella sciabola). Ex Santa Lucia, nato e cresciuto a Ladispoli, ci darà spessore e mestiere sul parquet. Avendo poi tante storie – di sport e di vita – da raccontare quando la partita sarà finita… Ben arrivato, Andrea.
Moreno Paggi
Ladispoli, Andrea Pellegrini, diventa un libro
La Biblioteca Comunale di Ladispoli “Peppino Impastato” invita la cittadinanza, martedì 7 gennaio alle ore 15:00, all’inaugurazione della Mostra fotografica e alla presentazione del libro EN GARDE, che racconta la storia personale e la vita sportiva dell’atleta paralimpico Andrea Pellegrini.Andrea il 24 novembre 1991 ha avuto un grave incidente ferroviario alla stazione di Ladispoli, ma grazie alla voglia di andare avanti, alla forza e all’impegno costante ha continuato la sua vita con passione ed è diventato un atleta, un campione ed un simbolo dello sport. Ad oggi vanta una carriera lunga venticinque anni, ha fatto la storia della Scherma e del Basket conquistando numerose medaglie e vittorie ai giochi paralimpici e dimostrando che le barriere fisiche non contano niente e che l’unica barriera, che è nella mente di ognuno di noi, è la capacità di accettarsi. La sua storia ha colpito e ispirato Fabio Renzi, fotografo documentarista impegnato in progetti a tematiche sociali e antropologiche e Diana Pintus, scrittrice e sceneggiatrice, che dal 2013 si occupa di comunicazione sociale e lavora al progetto Storie Paralimpiche, tramite il quale ha costruito una rete solida di organizzazioni e istituzioni che si occupano di sport e disabilità in tutto il mondo. Proprio nell’ambito di Storie Paralimpiche, Andrea Pellegrini, Diana Pintus e Fabio Renzi si incontrano e danno vita allo straordinario progetto EN GARDE. Scrive Andrea: “…se uno si accetta allora va incontro al futuro. È lì che nasce la forza”
Un trionfo mondiale. Intervista al campione di scherma e basket Andrea Pellegrini
Dalla riabilitazione al Santa Lucia ai successi in pedana, la storia e i progetti di un uomo-simbolo dello sport paralimpico. Articolo da Fondazione Santa Lucia
Nel 2004 è Medaglia d’Oro nella Sciabola alle Paralimpiadi di Atene. Nel Palmares del “D’Artagnan” di Ladispoli anche 5 argenti e 3 bronzi ad Atlanta, Sidney e Pechino. 10 Scudetti, 10 Coppe Italia, 2 Coppe Vergauwen e 3 Coppe Campioni nel Basket in Carrozzina con i colori del Santa Lucia. La sua storia è iniziata proprio alla Fondazione nel 1992, quando ha letteralmente scoperto lo sport paralimpico. All’indomani dello straordinario trionfo ai Mondiali di Scherma a Roma, con l’oro nella Sciabola a Squadre strappato alla Russia, Andrea Alberto Pellegrini parla con noi di una carriera stellata… e di futuro.
Con un successo così importante in tasca, non si può certo dire che siamo a fine carriera, piuttosto ad un nuovo inizio… Cosa farà ora Andrea Pellegrini?
Sono arrivato a Fiumicino convinto di fare l’ultima gara e ritirarmi, ma chi vive il mondo dello sport sa che un risultato come questo cambia un po’ lo scenario. Incoraggiato e anche un po’ “precettato” dai tecnici, ho capito con loro che la squadra ha ancora molto da costruire e da dare anche in altre manifestazioni importanti, e che io posso fare la mia parte. Non sono più giovane anagraficamente, tra me e altri atleti in Top Ten ci sono anche venti o venticinque anni di differenza. Ma in Top Ten ci sono ancora e come atleta sento che c’è ancora qualche conquista a portata di mano, soprattutto continuando a lavorare come per questo Mondiale.
A Fiumicino la Nazionale Italiana ha respirato un’atmosfera speciale. Cosa porti con te di questa esperienza in casa?
I Campionati a Roma sono stati qualcosa di unico, si è visto anche dai risultati. Russia prima con otto ori, noi secondi con cinque. Non era mai successo che l’Italia arrivasse seconda nel medagliere in una competizione così. Non abbiamo mai superato la quarta o quinta posizione. Giocare in casa ci ha spinto verso questo traguardo. Abbiamo dato tutti il 100 percento. Oltre cento supporters erano lì per noi e il loro calore ha fatto la differenza in particolare per gli atleti romani come me: Alessio Sarri di Cesano, Marco Cima di Vetralla e Edoardo Giordan di Torrimpietra. Con tanto sostegno abbiamo vissuto la finale contro la Russia con uno stato d’animo speciale.
I Mondiali di Fiumicino hanno lasciato un segno anche dal punto di vista della partecipazione del pubblico. Che futuro ha, secondo te, il Movimento Paralimpico in Italia e nel mondo?
Sta crescendo tantissimo. Personalmente ho ormai alle spalle cinque o sei Olimpiadi e Mondiali tra basket e scherma e posso dire che oggi i media ci danno più spazio, l’attenzione è aumentata. C’è ancora tanto da fare, ma le Paralimpiadi stanno trovando il posto che si deve alla seconda manifestazione sportiva più grande del mondo. La gente comincia a capire il nostro impegno e lo spirito che ci mettiamo. Non ci sentiamo disabili e non ci sono sconti nel nostro modo di vivere lo sport. Come tutti gli altri atleti a questo livello dobbiamo lavorare in palestra anche sei o sette ore al giorno per raggiungere risultati come quelli che abbiamo appena festeggiato. Intorno a noi ruota un mondo di professionisti tra tecnici, fisioterapisti, preparatori. Uno staff grande e complesso che contribuisce in modo determinante alla gara. Nel nostro caso, dalle ultime Paralimpiadi a questo Mondiale posso dire di aver notato un grande slancio in avanti, proprio per questo lavoro di gruppo. Abbiamo centrato l’obiettivo di rifarci dei risultati che a Rio ci erano mancati. In generale, in Italia, resta il tema delle strutture che possano consentire di gestire gli allenamenti al 100 percento e fare il salto di qualità. Non ci siamo ancora, anche se ci sono segnali significativi come il progetto del Comitato Italiano Paralimpico sul Centro di Tre Fontane, che per le Nazionali sarà una bella possibilità.
La tua esperienza di sportivo nasce e poi cresce, in parte, nell’ambito del mondo della riabilitazione. Della fase della tua vita che hai vissuto da paziente che ricordo hai?
Mi ricordo la mia vita da paziente come fosse ieri. Era il 24 novembre 1991, quando ho avuto l’incidente. È stato in quel momento che sono entrato al Santa Lucia per la riabilitazione e la protesi. Lì ho scoperto l’esistenza del mondo paralimpico. Ricordo che mi sembrava impossibile che persone amputate come me o con altri problemi motori potessero fare sport. E invece grazie alle attività in Ospedale conobbi la scherma, la pallacanestro. Al Santa Lucia lo sport è diventato prima una terapia e poi una prospettiva di vita che mi ha spalancato un mondo di possibilità: girare il mondo, conoscere tante persone, partecipare a grandi manifestazioni sportive. Senza l’incidente non credo che avrei raccolto tutti i successi che ho raccolto da diversamente abile. Certo non lo auguro a nessuno, ma quello che ho imparato è che se ti succede una cosa così non solo la vita non finisce, ma se ti capitano occasioni come quella che ho avuto io, non puoi perderle. Lo sport è la cosa che ti mette in gioco, ti fa divertire, stare in mezzo alle persone e respirare lo spirito di squadra in qualunque condizione di vita tu ti trovi. Nello sport non ci sono diversità.
E cosa vorresti dire a un giovane che la sta vivendo adesso?
Prima di tutto di contattarmi, perché gli farei conoscere un vero sport! Scherzi a parte, ce ne sono tantissimi e si possono fare tutti ad alto livello. Ma non si tratta solo di avere successo, praticare lo sport è prima di tutto una riabilitazione mentale e fisica che migliora la qualità di vita. E poi piano piano si possono costruire degli obiettivi e capire se poter ambire a certi traguardi, come la partecipazione a una Nazionale. Ma iniziare, passare del tempo in palestra e vivere il gesto atletico è già una grande parte della riabilitazione e del miglioramento della propria esistenza.
(martedì, 28 novembre 2017)