“Di padre in figlio”, una notte di emozioni per i 65mila dell’Olimpico
ROMA – Quando i vecchi campioni del ‘74 si sono raccolti sotto la Curva Sud, intitolata a Maestrelli, s’è scatenato un diluvio di emozioni. Brividi veri, un fiume di passione, sessantacinquemila cuori, gli antichi Eagles Supporters raccolti in quello spicchio di stadio, oggi quasi mai aperto dalla Lazio per le partite ufficiali. «Quanta strada Tom» s’è messo a cantare Tony Malco mentre sui maxischermi dell’Olimpico passavano le immagini in bianco e nero del Maestro e della signora Lina. Tutti i suoi ragazzi erano intorno al cantore della Lazio, quello a cui Chinaglia aveva chiesto di scrivere l’inno «Vola Lazio vola» , dev’essere scivolata qualche lacrima guardando verso l’alto. Nei distinti è stata svelata una bellissima coreografia, il dito puntato di Long John verso i tifosi della Roma e Alessandro Nesta, sì proprio lui, il vecchio capitano, si è messo a correre verso la Nord per andare a raccogliere l’abbraccio dei suoi tifosi, siglando una pace storica. Se n’era andato al Milan, venduto per motivi di bilancio, ed era stato ripudiato, quasi rinnegato, dal popolo biancoceleste. Ieri sera, per incanto, è sparito ed è stato cancellato ogni ricordo negativo. Tutta la Lazio era riunita intorno a Wilson e Pulici, Oddi, Petrelli, Martini, D’Amico e Nanni, i padri e i figli del gruppo indistruttibile costruito da Lenzini, perché insieme e accanto ai ragazzi del ‘74 sono scesi sul prato dell’Olimpico anche Niccolò Frustalupi, Stefano Re Cecconi, mentre Massimo Maestrelli, Antonio Sbardella junior e Stefano Lovati erano in panchina.
Contrasto. L’Olimpico s’è infiammato quando Sergio Cragnotti è entrato in campo e ha salutato la gente. «Un presidente, c’è solo un presidente» hanno intonato in sessantamila e qualche istante dopo sono partiti i cori ostili per Lotito. Una presenza impalpabile, solo nell’aria e in una fugace inquadratura strappata a immagini di repertorio legate alla finale di Coppa Italia del 2009, quando la Lazio s’impose ai rigori sulla Samp. L’imprenditore di Villa San Sebastiano è apparso sui maxischermi mentre abbracciava Rossi (acclamatissimo) e allora è partito un boato, sessantacinquemila fischi, a scavare le distanze abissali tra la gente e l’attuale gestione societaria. Contrasto stridente. Ma la contestazione s’è avvertita appena, è durata un paio di minuti, non di più. Gli applausi sono andati a Keita, Radu e Ledesma, inviati a rappresentare la Lazio e abbracciati dalla Nord, mentre Giorgio Chinaglia jr è stato portato sotto la Sud per battere un rigore dal valore profondamente simbolico. Peruzzi s’è scansato e quella palla centrale s’è infilata in rete proprio come accadde il 12 maggio 1974, quando la Lazio con un rigore di Chinaglia piegava il Foggia alla penultima giornata e si laureava campione d’Italia. Quarant’anni dopo alle 21, arbitro Carlo Longhi, la banda Maestrelli, con molti chili in più e diversi capelli bianchi, è tornata in campo. Felice Pulici è rimasto tra i pali cinque minuti prima di togliersi la maglia e lasciare il posto al figlio Gabriele, nato il giorno dello scudetto. La Lazio dei meno 9 non ha infierito. I vecchi ragazzi di Maestrelli, arroccati intorno a Oddi e Wilson, sostenuti a centrocampo dai figli di Re Cecconi e Frustalupi, sono riusciti a difendere lo 0-0. Poi è entrato anche Bruno Giordano con il figlio Marco e l’Olimpico, in uno sventolio di bandiere biancocelesti, s’è emozionato abbracciando gli eroi dello scudetto di Cragnotti. Pancaro, Nesta, Mihajlovic e Favalli davanti a Marchegiani, gli slalom di Sergio Conceicao e il destro potente di Stankovic (suo il primo gol della serata), e in attacco la coppia mai vista formata da Mancini e Signori, che decise di lasciare la Lazio in una gelida notte di Vienna. Ci voleva la festa dell’Olimpico per metterli insieme. Perché questo è il calcio, questa è stata la Lazio più amata dalla gente.
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